di Candida Morvillo Pubblicato da Io Donna

Alle otto, il sole era già alto sul monte Ayachi e già arroventava la terra grigia e sabbiosa che si sollevava nelle raffiche torride di scherghì, portata da una Sahara vicinissimo eppure mai visto dalle due donne che si muovevano furtivamente. Rkia serrava gli occhi e avanzava svelta controvento, assicurandosi accorta le lunghe gonne, stringendo il velo al viso, pregando che nessuno la salutasse o, peggio, la fermasse per fare chiacchiere tipiche dell’ora, chiedendole se all’alba avesse raccolto abbastanza erba medica per le capre, o se stava andando al pozzo o al forno. Dall’altro capo del villaggio, avanzava Khadija, anche lei incurvata nel velo, come cercando di farsi piccola e invisibile. Rkia rallentò, voleva evitare di incrociare l’amica proprio nel centro della piazza. Sentiva addosso gli occhi degli uomini di End, fermi a fissarla, poggiati alle vanghe o usciti apposta sulle soglie di casa con facce scure che non promettevano nulla di buono.

Dove pensavano di andare, quelle due? In cooperativa a confabulare! Due donne! Due donne e le altre con loro, che stavano uscendo tutte timoroso a quella stessa ora, gli occhi piantati per terra… Dove si era mai visto? Rkia lo sapeva che i vecchi del villaggio le stavano dicendo dietro quella parola. Puttana. Puttana lei e tutte quelle che si erano messe in testa di lavorare, di estrarre oli essenziali dal rosmarino che cresceva su per la  montagna. Ma lei più di altre, perché lei della cooperativa era “la presidente”. o, come dicevano gli occidentali che veni- vano ad aiutarle, “la leader”.

Era cominciato tutto un anno prima. Più di un anno prima. Ci erano stati in mezzo due ramadan, calcolava ora Rkia. era stato allora che avevano estratto i primi sedici litri. I primi e gli ultimi. Le boccettine erano ancora tutte nella distilleria. erano trecento ed erano bellissime. avevano ciascuna un’etichetta, con sopra scritto “olio essenziale di rosmarino – 5 ml”. Rkia aveva seguito il corso d’arabo ed era fiera di saperlo leggere. Delle 73 donne della cooperativa, erano capaci solo lei e poche altre. A volte, nell’ora del-la siesta, quando d’estate si sentivano solo i grilli frinire e tutti riposavano nelle case sfiniti dal caldo, o quando d’inverno la valle era spazzata da un nevischio gelido e tutti giacevano nelle case rannicchiati in coperte di lana, scappava in distilleria, guardandosi le spalle, arrivandoci col fia-to in gola, e andava a rimirarle. Erano di vetro scuro, con le etichette gialle e il tap-po rosso. Provava a fare i conti. Al merca-to di Midelt, si potevano vendere a 16mila dirham l’una, le avevano detto. Ogni vol- ta, contava e si perdeva. Non li aveva mai visti tanti dirham.

C’erano poche donne il giorno in cui era arrivato il distillatore. Vecchie e nubili, soprattutto. alle altre, i mariti non avevano permesso di uscire da casa. Il distillatore era un gigante di acciaio dentro il quale potevano starci tre vacche. era lucido e scintillante. era loro. Lo guarda- vano e non ci potevano credere. Per tutte, però, quello era stato il giorno della paura, dopo i tanti pure di tregenda che lo avevano preceduto. Quel giorno, gli uomini avevano abbandonato i campi e le bestie e aspettavano il camion all’ingresso del paese, discutendo bellicosi tra loro. Non gli stava bene che il distillatore andasse alle donne e che loro non avessero niente. Agitavano vanghe e bastoni e blateravano che erano stati fregati.

Nel 2011, quando le poche tv del villaggio davano sporadiche notizie di rivolte dei fratelli dei Paesi vicini, della Tunisia, dell’Egitto, della Libia, re Mohammed aveva varato molte riforme e, tra queste, un piano per lo sviluppo delle zone rurali del Marocco. Allora, a end, in quel villaggio che aveva – senza saperlo – un nome da fine del mondo, erano arrivati due funzionari del Dipartimento delle acque e delle foreste del ministero dell’Agricoltura e avevano detto che gli uomini dovevano fare delle cooperative. Avevano detto che lì a End non c’era molto: poca terra buona e tanta montagna arida dove cresceva solo rosmarino. E che, perciò, la cooperativa avrebbe avuto diritto a raccogliere il rosmarino, pagando una tassa, ma piccola. gli uomini di End l’avevano fatta e ci si era iscritto pure il marito di Rkia. E però, esaurite le pratiche burocratiche per iscriversi, gli uomini di End non sapevano che farci con quel rosmarino e, quando era arrivato un imprenditore di Rabat, chiedendo in affitto la montagna, gliel’avevano data.

Poi, erano arrivati di nuovo i due funzionari del ministero e, stavolta, avevano chiesto di parlare con le donne. Tutti a End avevano pensato che questa storia delle riforme andava facendosi assai strana. Infatti. I burocrati venuti da Meknès dissero che, se le donne si fosse- ro riunite in una cooperativa, avrebbero avuto un distillatore per estrarre olio essenziale dal rosmarino. Era stato il putiferio. A End, le donne si erano sempre spezzate la schiena, nei campi, con le bestie, al telaio, ma sempre solo al servizio della famiglia, mai guadagnando. gestire una distilleria, estrarre l’olio essenziale, imbottigliarlo, venderlo era una bestemmia. Venderlo, soprattutto, era impensabile. Il mercato più vicino, a Midelt, era a 10 ore di mulo, in teoria. Prima su una pi-sta di sassi, poi su una strada vera, battuta da macchine, corriere, camion: portarci i muli era fuori discussione. Ma il pro-blema era che le donne di End non andavano da nessuna parte, da sole. Anzi, in città non ci andavano nemmeno coi mariti, perché significava andarci col grand Taxi, una Mercedes che porta l’autista e sei persone, due sul sedile davanti e quat-tro dietro. Le donne che si stipano nel grand Taxi sono puttane, che si siedono strette accanto agli uomini e credono di poter fare quello che vogliono.  Sul grand Taxi ci possono andare le vecchie, perché i mariti sono gelosi solo delle donne giovani, ma dove possono andare le vecchie di End, che non hanno mai maneggiato un dirham e mai parlato con un forestiero?

E poi, le donne della coop, di colpo, si erano trovate di fronte tutti quei politici e funzionari, maschi forestieri che pensavano di potersi presentare e parlare, come se niente fosse, con donne che non erano le loro. Erano stati mesi di un’agitazione mai vista. Pure i maschi più giovani e aperti, come il marito di Rkia, avevano timore a dire la loro a cospetto dei più che gli davano dei pazzi e strepitavano che, di quel passo, il mondo sarebbe finito sot-tosopra. Tutti dicevano che, se proprio il ministero voleva fare qualcosa di buono, doveva dare una vacca a ogni famiglia, vacche che facessero latte da bere e vitelli da vendere. L’avevano detto pure ai funzionari, ma quelli sostenevano che le vacche non creavano impresa. E che, nella

terra arida dei monti sopra End, non c’era abbastanza erba medica per le vacche che loro volevano e che allora, pure ad avercele, sarebbero cresciute rachitiche e non avrebbero fatto né latte né vitelli.

Nadil, il marito di Rkia, a casa, faceva i conti e si diceva che sarebbe stata una cosa buona produrre l’olio, perché rendeva 20 volte la vendita del rosmarino e, a End, sarebbero rimasti molti più soldi di quanti ne pagava di affitto il signore di Rabat. Però, con gli altri, Nadil si intimidiva. L’ultima volta che la cooperativa dei maschi si era riunita a discutere, Nadil la notte prima si era girato e rigirato nel let to e alle quattro si era messo in piedi alla

finestra facendo scrocchiare le dita delle mani fino all’alba. Poi, alla riunione, era riuscito a dire solo: è arrivato un distillatore alle nostre donne, insciallah. E tutti erano balzati su, accalorandosi e coprendo le voci gli uni degli altri. Nadil se n’era tornato a casa scornato e, quando Rkia gli aveva servito mesmen già freddo, le aveva alzato le mani addosso. Il distillatore se n’era stato lì per un po’. La luna era cresciuta e poi era calata. Quindi, erano arrivati due operatori di Oxfam. Un altro maschio forestiero e una donna forestiera. Puttana pure lei, avevano bisbigliato in parecchi. Vai a capire se era peggio che arrivasse un maschio o una femmina, lì a End. I due di Oxfam avevano un furgone pieno di rosmarino. Era stato quello il primo giorno in cui Rkia e tutte le altre 72 erano uscite di casa quatte quatte, eppure decise a non farsi fermare neanche con le vanghe. erano arrivate alla distilleria come un ven-to solo, di quelli che nascono nelle distese di deserto dietro ai monti dell’Atlante Orientale e che nulla può fermare.

Una distilleria di sogni

Rkia e le vecchie si erano affollate attorno al tavolo per sfrondare le foglie e i rametti piccoli dai rami più grossi, le giovani erano andate ai pozzi a prendere l’acqua con i muli e le carriole. Tutte insieme, dopo, con la legna, avevano acceso il fuoco sotto il distillatore. Poi, avevano ascoltato il gorgoglio possente del vapore, guardandosi ansiose e qualcuna spaventata. Quando avevano visto uscire le gocce gialle di olio dalla bocca di quel bestione lucente, era stata festa. La gioia era esplosa in un turbine di abbracci e di lacrime. Era come se, all’improvviso, a End, fossero nati venti, cento vitelli. Quella torrida mattina di giugno alle otto, in cui Rkia e Khadija si avviavano circospette alla distilleria, era la mattina in cui bisognava decidere che fare. A settembre, sarebbe scaduto il contratto di affitto tra gli uomini e l’imprenditore del rosmarino. Bisognava impedirne il rinnovo. Il rosmarino di End doveva restare a end. Un italiano di Oxfam, che era venuto più volte a fare lezioni di gestione, diceva che il momento politico era propizio e che – insieme – le donne della cooperativa erano una forza capace di chiedere alle autorità locali trasporti buoni per accompagnarle alle fiere della provincia di Errachidia e Midelt e della regione di Meknés e Tafilat.

Rkia tirò fuori la chiave della distilleria dalla tasca. Entrò per prima, seguita dalle altre e, presto, le donne affollarono lo stanzone, sembrando piccole piccole sotto la sagoma enorme del distillatore addormentato. Fatima, la più anziana, prese la parola e disse che le cooperative si dovevano unire, che maschi e femmine dovevano lavorare insieme. Aziza ricordò che quel- li di Oxfam avevano promesso di aiutarle a mediare. Era tutto un vociare. Rkia, al capo del lungo tavolo con sopra le boccette, ne prese una e lesse a mente l’etichetta. Guardò le donne e calcolò che nessuna aveva proposto di lasciar perdere. Disse: silenzio, io propongo solo che, a settembre, prendiamo le falci, tutte noi ma proprio tutte, non deve mancare nessuna. Le pren- diamo e saliamo su per i monti e ci mettiamo a raccogliere il rosmarino. Raccogliamo e distilliamo e poi si vede. Insciallah. E quando, scuotendo la testa, confuse, tutte sciamarono fuori, e uscendo, si zittirono, per non dare adito, le donne dell’olio di rosmarino di End erano un vento del deserto che si era sollevato e che, da qualche parte, avrebbe portato, giù oltre la valle, dove la maggior parte di quel- le donne non erano mai state. Non ancora.

Ito era stata eletta all’unanimità. Ventidue voti, compreso il suo, ed era diventa- ta presidente della Cooperativa del miele delle donne di Sidi Hamza. Subito dopo, Ito aveva sorriso e aveva raccomandato di brigarsi:era  oradi tornare dalle famiglie  a preparare la cena. Era scontato che eleggessero lei. Iro era l’unica donna nel raggio di quell’universo, che stava tra lì e la vicina End, ad aver nientemeno che viaggiato. Era stata in Mauritania, scelta da un’associa-zione umanitaria per insegnare la tessitura marocchina alle popolazioni locali, ed era stata a Torino, in Italia, scelta da un’altra associazione per seguire un corso di agri-coltura sostenibile. Dopo essere stata eletta presidente, era tornata a casa e suo figlio di 27 anni le aveva chiesto perché lei. Cioè: perché sempre, ancora, lei? Ito aveva allargato le braccia e aveva riso: perché sono divorziata e, per fare quello che voglio, non devo chiedere il permesso a nessuno. Non gli aveva raccontato che vent’anni prima, quando appunto aveva divorziato, i vecchi le dicevano alle spalle puttana e i giovani vietavano alle mogli di starle attorno. Le donne che facevano scappare i mariti questo erano considerate: putta- ne. Ma già allora, ito scrollava le spalle e, col sorriso più gioviale che si fosse mai vi-sto a Sidi Hamza, andava ripetendo: mio marito non voleva lavorare e io l’ho cac-ciato, sono stata io a divorziare. Le cose non stavano del tutto così, ovviamente. ai tempi, solo gli uomini potevano chiedere il divorzio. era vero, invece, che il marito fosse un debosciato, mentre Ito era un donnone, forte come un mulo e che lavorava più di un uomo.

Alle sei, era già in montagna, su, più in alto di chiunque altro, fin quasi a duemila metri, a raccogliere l’erba medica per le ca-pre. poi, andava al pozzo e alle dieci era al forno, a mezzogiorno cucinava per i geni- tori e il figlio, e il pomeriggio tesseva i tap- peti più belli che si fossero mai visti nel- la provincia di errachidia, e continuava a tessere per ore anche dopo aver preparato la cena per tutti. A primavera, curava le arnie e faceva il miele di timo più dolce che si fosse mai assaggiato da quelle parti.

Col tempo, la gente di Sidi Hamza si era convinta di quanto andava dicendo Ito e lo ripeteva: Ito ha divorziato perché il marito non lavorava. Niente le metteva paura. Aveva preso l’aereo con spavalderia. Tanto, lo aveva già visto alla tv. Il televisore di Ito troneggiava in una stanza larga e fresca, adibita solo a quello, aveva sopra un centrino bianco all’uncinetto, e aveva il telecomando. In un’altra stanza, in fon-do alla grande casa con le imposte turchesi, Ito possedeva una lavatrice, l’unica di tutto il villaggio. Una delle due cose che l’avevano colpita a Torino era stata la lavatrice italiana, che prendeva l’acqua direttamente da un tubo nella parete, mentre la sua andava prima riempita con l’acqua presa al pozzo e poi svuotata. L’altra cosa che l’aveva colpita era il mercato: ordinatissimo, con la frutta e la verdura sistemate in cassette sopra appositi banchi e con tende che riparavano la merce dal sole o dalla pioggia. Le meraviglie del mercato di Torino erano i racconti preferiti da Ito nei lunghi pomeriggi invernali quando tesseva con le altre donne.

Era stato naturale che tutte la votassero. ito era “una leader”, prima ancora di essere “la presidente”. Era andata, grosso modo, come a End. Prima, erano arrivati i funzionari del ministero con le scartoffie e quella parola nuova: cooperativa. Si erano iscritte in 22, per produrre il miele, quello che già tutte facevano per la famiglia con una sapienza tramandata di madre in fi- glia, ma che nessuna aveva mai pensato di vendere a un mercato che lì non c’era.

Poi, erano arrivati quelli di Oxfam, con un estrattore tutto lucido che promette- va di far produrre più miele di quanto se ne fosse mai visto in una volta sola a Sidi Hamza, e che sarebbe stato usato alla prima fioritura, nella primavera del 2015. Quelli di oxfam erano tornati anche a in- segnare la confezione, portando baratto- li di vetro ed etichette sui cui era scritto “Miele dell’alto atlante orientale”. Le etichette erano adesive. Dopo averle toccate, le donne ridacchiavano, giocando con le dita rimaste appiccicose. ito aveva un gran da fare a mostrare come incollarle: diritte, con la scritta dal verso giusto, e stese, senza pieghe. Le più vecchie si guardavano perplesse e chiedevano: perché l’etichetta? Non si vede che è miele? L’idea che sul miele bisognasse scrivere miele aveva diffuso la ridarella. Anche Ito rideva. Rideva e spiegava che l’etichetta indicava anche il peso e che a Torino le avevano già illustrato, come stavano facendo ora quelli di Oxfam, l’importanza del packa ging, che serve ad alzare il prezzo, perché la gente di città vuole sapere che cosa sta comprando. Ayaw, la più giovane, annuiva, corrugando la fronte, concentrata per attaccare diritte e stese le sue etichette. La differenza tra loro e le madri, diceva sempre Ito, era che queste ultime non avevano mai toccato un dirham. Lavoravano, ma era scontato che non venissero pagate. Poi, Ito si era raccomandata per i turni che ci sarebbero stati a primavera, con la fioritura. Il vantaggio della cooperativa, oltre all’estrattore che estraeva molto più mie- le, era che – lavorando insieme – le donne potevano darsi il cambio per sorvegliare le arnie. Sotto il sole che picchiava, bisognava star lì a controllare che l’ape regina non volasse via, seguita da tutto lo sciame. Nel caso, c’era da riacchiapparla e rimetterla dentro. Era una mattina di giugno e, causa siccità, in tutta Sidi Hamza, non restavano che un paio di litri di miele, se n’era prodotto poco, quell’anno. Però, sarebbe venuta la primavera, dopo quel caldo torrido arroventato dal vento di scherghì, e dopo l’inverno che tutto gela. E allora, aveva pensato Ito, le donne di Sidi Hamza li avrebbero riempiti tutti, quei barattoli. E li avrebbero venduti. sarebbe andata lei a Midelt, a Meknés e ovunque ci sarebbe e stata una fiera. avrebbe chiamato un grand Taxi, lo avrebbero preso lei e una vecchia che non aveva da rendere conto al marito. Quante storie. Se fosse stata a preoccuparsi delle chiacchiere, avrebbe passato vent’anni a incassare botte da un marito sfaticato. Invece, a primavera, avrebbe preso un gran Taxi e le donne della coop avrebbero diviso le spese. Anche questo era un vantaggio del fare impresa insieme. A ora di pranzo, le donne del miele sciamarono via. L’operatore di Oxfam salutò. E, allora, la giovane Ayaw, indugiando sulla porta, chiese a Ito com’erano invece le operatrici di Oxfam, quelle che lei, una volta, aveva incontrato da sola. Ito allargò quel suo sorriso felice e rispose: sono donne che usano l’intelletto e questa è un’opportunità, e sono donne che fanno del bene alla gente e questo è il vero islam.

Ps. Questo racconto è vero nella sostanza. Laddove vive di una quota d’immaginazione, il motivo è che molti mariti non hanno concesso allemogli il permesso di parlarmi. Mentre di alcune donne che mi hanno incontrata, ho dovuto interpretare silenzi e reticenze.

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